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Scena di caccia al cinghiale in maremma

la foto ricordo dei tempi passati quando la caccia si faceva a cavallo (i signori) e non con i fuoristrada
 
Molte razze di cani si avvalgono

nell’espressione del suo nome, l’appartenenza della terra d’origine. Il Segugio Italiano, abbraccia tuta la nostra penisola. D’origini lontane, presente in testimonianze scultoree e pittoriche sembra a detta d’alcuni studiosi un nome derivante dagli ITALICI, un popolo antenato degli ETRUSCHI che vissero, quest’ultimi, il periodo della loro massima espansione nel VII-VI secolo a. C.. Gli Etruschi abitavano la regione che da loro ha preso il nome, l’Etruria, compresa tra i fiumi Arno a Nord e Tevere ad Est e a Sud, in quella zona che oggi è formata dalla Toscana, estesero il loro dominio a Sud, fino alla Campania, e a Nord di là dall’Appennino, dove sono etrusche le città di Misa (Marzabotto), Felsina (Bologna), Spina (Adria).
Diffusero così il loro cane segugio? Presumibile!
Altra razza riconosciuta Italiana, levrieroide con spiccate attitudini di segugio è il Cirneco dell’Etna, anch’essa si porta dietro la sua provenienza, originaria della Sicilia, giunse probabilmente dalla Cirenaica (di cui il nome). La Cirenaica è una regione della Libia orientale, situata, in tempi antichi, tra l'Egitto e la Numidia. L’aspetto esteriore e morfologico di questo cane ricorda e si raffigura in effige Egizie.
Tante altre razze, sempre restando tra i cani da seguita, hanno nel nome la loro provenienza, tanto per citarne alcuni, a partire “dai Francesi” Griffon Fauve De Bretagne, Griffon Bleu de Gascogne, Briquet Griffon Vendèen, ecc…Ed altri Segugio del Bernese, dell’Istria, della Westfalia, di Hannover, di Lucerna, ognuno si distingue per la sua conformazione morfologica strutturale e doti venatorie, coniate, plasmate in conformità dell’esigenza del suo territorio.
 
La Maremma che ha partorito questo cane

ha rispettato gli stessi criteri evolutivi della razza,
è un territorio vasto e dai confini difficilmente definibili che si affaccia sul Mar Tirreno. Dante Alighieri (Inferno canto XIII, 7) ne individuava i confini tra Cecina (Toscana) e Corneto (Lazio), la descrive caratterizzata da una vegetazione a macchie, d’arbusti bassi e irti, un’immagine aspra e selvaggia.. Il nome Maremma, deriva, per alcuni studiosi, dal latino maritima, per altri dallo spagnolo marismas che significa palude, in effetti, è verosimile il secondo poiché è stata una zona paludosa, dura da viverci, dove regnava la malaria, la miseria, il brigantaggio, tra le poche risorse di sopravvivenza, la caccia, per l’abbondanza di selvaggina d’ogni specie. La tradizione popolare ne canta, in uno stornello triste dai contorni drammatici, uno squarcio d’esistenza, di vita vissuta, alcuna strofe di «Maremma amara», cantate in una nenia lenta recitano:

“Tutti ti dicon: Maremma, Maremma!
E a me mi sembra la terra più amara:
L’uccello che ci va perde la penna
Il giovin che ci va perde la dama.
E a me mi trema il cor quando ci vai
Per lo tremor se ci vedremo mai”.
Le strofe terminano:
“ Sia maledetta Maremma Maremma, sia maledetta Maremma e chi l'ama.”
 
"Le Maremme Tosco Laziali"

Convenzionalmente, il vasto territorio è suddiviso in tre zone:
La parte Livornese /Pisana a nord detta Alta Maremma, la centrale identificabile con la provincia di Grosseto, la parte Laziale a sud. Oggi questo lembo di terra, fonte di tante amarezze è meta ambita dai VIP per la sua conformazione geografica, il clima, le spiagge, i paesaggi, le sue tradizioni, la storia..In questo contesto, le origini del Segugio Maremmano.
Un cane sempre presente in ogni casa di contadini, come di proprietari terrieri, le grandi fattorie iniziavano alle porte del fiume Cecina e terminavano a quelle di Roma. Tra le più grandi, quella della Marsiliana, del principe Corsini, quella di Donoratico dei conti della Gherardesca, la più antica e romantica perché legata a Dante e a Carducci, altre, dei Guglielmi, dei Grottanelli, dei Vivarelli Colonna, Guicciardini, Ricasoli, dei Torlonia. Casati illustri che hanno fatto la storia della maremma, in parte anche dell’Italia, ed ancor oggi danno lustro al territorio.Tutti avevano dei cani, i quali adibiti alla caccia svolgevano il proprio ruolo per l’utilità del suo proprietario, sia esso il contadino, che dalla caccia traeva fonte di sostentamento, come del nobile che oltre a soddisfare la propria esigenza venatoria significava le proprie ricchezze ai suoi ospiti e commensali.
Un cane progenitore dell’attuale Segugio Maremmano, (la mia ricerca ha testimonianze lontane) che era utilizzato in grandi numeri nelle battute, dove suo unico compagno di spalla era il Segugio Italiano. Illustri personaggi del mondo letterario, hanno scritto di maremma, come ad esempio Carlo Cassola, Curzio Malaparte Guido Piovene, Giosuè Carducci, Vasco Pratolini, Eugenio Niccolini, con le sue memorabili”Giornate di caccia”. Molti dei nomi citati, si sono avvalsi “di un cane rustico, coraggioso che sapeva cacciare il cinghiale” come ad esempio il maestro e gran cacciatore Giacomo Puccini.

 
Nel tempo, ad opera dei cacciatori meno facoltosi
che si scambiavano soggetti validi, con determinate caratteristiche venatorie, si sono affinate le doti e la morfologia dei soggetti atti a svolgere quel tipo di caccia. L’evento della seconda Guerra Mondiale, ha in parte frenato il processo d’evoluzione del cane, vuoi per i giovani partiti per guerra, pertanto non più dediti alla caccia, vuoi perché i problemi dell’evento bellico mettevano in secondo piano l’esercizio venatorio. Nelle campagne meno congestionate, dove si poteva, sopratutto per procurarsi del cibo al tempo mancante, la caccia anche seppur fatta in forma anonima, perché proibito l’uso dei fucili (specie dopo l’evento partigiano), molti contadini avevano sotterrato il proprio fucile per non farselo trovare e quando andava bene vederselo sequestrare, ma pronti a riprenderlo per una battuta di caccia, il cane quindi era sempre usato e di conseguenza il perdurare di una tradizione cinofila.
E’ stato il dopo guerra, con il ritorno alla normalità, e il riprendere l’uso di una vita quotidiana, che si è potuto compiere passi avanti nella cinofilia della seguita.
L’ENCI, la SIPS, affinché non si disperdessero alcuni validi ceppi etnici, fecero propria l’idea espressa da alcuni loro esponenti della riapertura del Libro Riconosciuti, tra i quali Zacchetti, che per primo perorò la causa.
Mario Quadri ed altri giudici, alcuni dei quali maremmani, si adoperarono gettando le basi, una bozza di standard morfologico. Inizia l’iter del Riconoscimento Provvisorio al LIR.
Il desiderio di centinaia di cacciatori maremmani che si sono resi disponibili affinché fosse raggiunto il quorum di presenze per dar modo di poter prendere in considerazione una nuova razza .
L’ENCI dà incarico alla SIPS di produrre la documentazione, nel contempo nomina dei giudici abilitandoli allo scopo.
Il cammino verso quello che sarà il traguardo finale del segugio Maremmano è ancora da percorrere, ma imminente.
 
"Le doti Venatorie del Segugio Maremmano"

E’ un cane docile, affettuoso, con un istinto innato per la caccia, pertanto facile da allevare, è precoce nell’adempiere il suo lavoro di segugio, ha doti di passatore, abbaia a fermo sul selvatico con coraggio e buon timbro squillante di voce, non demorde e persevera con tenacia nella seguita,
in muta sta bene con i compagni, non è aggressivo né mordace e ne riconosce i ruoli dandogli credito .
Il suo impiego naturale è l’utilizzo alla caccia del cinghiale, per cui è stato geneticamente formato dall’esigenze del territorio, si esprime al meglio di se stesso in boschi fitti, di bassa vegetazione districandosi tra rovi e cespugli percorrendo e fiutando l’usta in “trottoi” usati dal selvatico, dal quale si pone con intelligenza al cospetto. Attualmente il suo nome è legato strettamente alla caccia del noto ungulato, ma in tempi passati, quando la caccia al cinghiale non era così diffusa, ma praticata per scelta, tradizione e volontà di confrontarsi con il temibile suino, era usato a seconda delle esigenze, per la lepre, come per la volpe, per l’istrice, il tasso, la martora, dimostrazione questa, della sua versatilità. Il nostro segugio si sta diffondendo rapidamente su tutto il territorio Italiano, ha trovato estimatori e chi lo apprezza in molte regioni, un merito questo delle sue provate capacità venatorie affinate nel tempo.
 
Alcune certezze
Certo non tutti sono e saranno d’accordo con queste mie affermazioni, alcuni avranno avuto esperienze negative nel suo utilizzo, quelle descritte sono le doti che si riscontrano nella maggioranza dei soggetti perché fornite da madre natura, poi dopo, l’uomo deve riconoscere e mettere in risalto estrapolare dal suo hanimus quanto di meglio possa dare.
Per esperienza diretta avendo seguito questo cane fuori dei suoi confini geografici, visto, e chiesto ai suoi utilizzatori, l’ambiente in cui deve svolgere il suo lavoro ha un’importanza determinante, anche in funzione del carattere, essendo i cani esseri viventi, possiedono in carattere proprio, come gli umani, alcuni più emotivi, altri più irruenti, talvolta più timorosi, altri riflessivi; in bosco di alto fusto dove vi è poca vegetazione sottostante, un cane smanioso di essere sciolto, irruente, male dressato, spesso compromette l’esito della caccia, poiché parte dando voce a sproposito e non si limita all’entusiasmo del momento, ma persevera nell’azione senza un giustificato motivo, mettendo in fuga i selvatici non avendo essi, un sottobosco dove potersi rifugiare e difendersi.Talvolta uno dei difetti che si riscontra nel segugio maremmano è questo, soprattutto in quei soggetti acquistati a “pronta caccia” abituati a cacciare nei loro terreni abituali in boschi folti dove la percezione dell’usta selvatica arriva al cane prima di vederlo e la sagacia mette in moto tutte le difese, le doti del cane. Il bosco pulito porta questo cane che tende a non mettere troppo il naso in terra , ma trarre effluvi da tracce lasciate su rametti lungo il percorso, a cercare perché avido, il selvatico a vista.
 
La tenacia, la volontà, il desiderio di avvicinare il cinghiale

porta alcuni soggetti, ad un rientro difficoltoso se non corretti, una volta che questi, inseguendo il selvatico, passano la linea delle poste, ma che in ogni modo dotati di buon senso d’orientamento tornano sempre al punto di sciolta.
La moda, la novità del manto tigrato, in un cane da cinghiale, ha forse suscitato fantasie di cacce esotiche, tanto è che molti ritengono erroneamente, attribuirgli doti superiori rispetto agli altri appartenenti la razza. In tempi passati è certo sono state immesse correnti di sangue di cani estranee a quelle tradizionali autoctone, sono molti che si attribuiscono il merito, chi fa un nome chi un altro, è difficile nell’evoluzione di una razza specie se ottenuta dal passaggio di molte mani, risalire ad un personaggio, come difficile è poter dire la fonte d’immissione, che per alcuni è il Terrier.
Certo per similitudine di manto sarebbe pensabile, ma è bene precisare che per terrier si deve intendere l’American Staffordshire Terrier, più noto con il nome di Pit Bull, oppure lo Staffordshire Bull Terrier Britannico riconosciuto razza nel 1935. Personalmente mi pongo delle riflessioni: il cane sopra citato appartiene come tipo al gruppo 3 secondo la classificazione della Federazione Cinologica Internazionale ed è un Molosso-Lupoide mentre il Maremmano appartenente al gruppo 6 è un Braccoide e morfologicamente ha poco da condividere escluso il manto, dell’altra razza, e negli accoppiamenti si sa si prende dall’uno e dall’altro, non risulta aver visto in segugi fisionomie assimilabili, anche in tempi passati. Stesso discorso si ritiene possa essere valido nei confronti di coloro che sostengono immissioni di Jagdterrier, anch’esso gruppo 3 Lupoide. E’ fuori dubbio che questi rinsanguamenti siano stati fatti, in modo estemporaneo, si ritiene, senza però sconvolgere i valori, magari incentivandone alcune caratteristiche.
 
Il tempo, gli incroci fatti

senza cognizioni specifiche di zoognostica, ma mirati a migliorarne le qualità estetiche e venatorie, hanno forgiato il Segugio Maremmano nelle tre tipologie riconosciute al LIR e le loro caratteristiche e doti sono simili da un punto di vista venatorio.
 
Adesso il compito è più difficile
perché data la sua diffusione, sarà doveroso restare nei parametri dello standard. Il futuro di questa razza dipende da noi, sappiamo fare dei buoni accoppiamenti, non consanguinei, non facciamo riprodurre soggetti con difetti evidenti (anche se validi alla caccia). In cinofilia non vale il detto “ Il fine giustifica i mezzi “ forse talvolta nella caccia pratica pensando al carniere, ma quando si parla di cani intendendo con la C maiuscola i criteri sono diversi, ci sono delle regole e debbono essere rispettate
 
`Articolo
La Maremma Tosco/Laziale, Il Segugio Maremmano. La Caccia.
Trattandosi di un articolo pubblicato su una rivista specializzata qual è “La Caccia al Cinghiale ”
è necessario scrivere di caccia, di cani; ed, infatti, lo è, ma volendo parlare di un cane specifico, il Segugio Maremmano, ritengo opportuno presentarlo non prima di aver realizzato un quadro generale del contesto in cui questo cane, ormai definitivamente riconosciuto,è nato, ed è stato utilizzato affinandone le doti naturali, quasi spontaneamente in modo “artigianale”, in funzione delle necessità d’uso, nel tempo, da cacciatori che per eredità cinofila si sono sempre avvalsi di questo soggetto anch’esso figlio della Maremma.




 

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